"L’idea
iniziale del Medialab era molto semplice. Si doveva prendere la ricchezza
audiovisiva delle trasmissioni d’intrattenimento, la profondità
conoscitiva e informativa da quello dell’editoria, l’interattività
intrinseca nei computer e mettere queste tre cose insieme per ottenere
i sistemi sensoriali ricchi, profondi e interattivi che oggi chiamiamo
multimedialità." |
Nicholas Negroponte |
Per
multimedialità si intende l’intreccio di diversi canali, linguaggi,
media. Nella vita di ogni giorno ci troviamo continuamente di fronte a linguaggi che si intersecano e si dividono, a volte, spesso, si amalgamano a formarne uno solo. Le competenze di ognuno di noi che bisogna attivare vengono costantemente messe alla prova. Accendiamo la televisione e il talk-show che vediamo ci costringe a interpretare i vari significati delle immagini che scorrono sul video. Intuiamo (sappiamo perché la frequentazione della TV ce lo ha insegnato) quando il presentatore sta per mandare in onda la pubblicità. Conosciamo i linguaggi della televisione: share, target, palinsesto non sono più termini riservati a pochi eletti. Quando parte la sigla di un programma che non conosciamo siamo spesso in grado di capire se sarà di informazione, di intrattenimento, di carattere scientifico ecc. La pubblicità televisiva è un continuo riferimento ad altri media: musiche, cinema, programmi televisivi, personaggi della letteratura (non stupisce più di tanto vedere Dante Alighieri che pubblicizza un qualche prodotto), altra pubblicità (emblematico lo spot delle due confezioni di würstel, preciso riferimento ai due fustini al posto di uno che attualmente ha come testimonial Fabio Fazio). La scrittura a sua volta si è arricchita di elementi che provengono da altri media. Per poter apprezzare un romanzo moderno è necessario conoscere alcune tecniche cinematografiche: è ormai difficile trovare un libro che strutturalmente non abbia mutuato dal cinema alcune tecniche di narrazione come il montaggio parallelo e la relatività del punto di vista. A sua volta il cinema deve molto alla letteratura, sia come fonte dalla quale attingere storie, ma anche come punto di partenza per la costruzione narrativa: basti pensare al narratore fuori campo di tanti film che ha autorità a narrare perché è stato testimone o personaggio che ha vissuto l’evento (non a caso chi narra l’evento ne Il viale del tramonto di B. Wilder è un morto, lui solo conosce i fatti e tutti i retroscena), figura assorbita dal narratore del romanzo che è legittimato a parlare perché lui c’era (come ne Il grande Gatsby di F.Scott Fitzgerald in cui chi narra può farlo perché è stato testimone degli eventi ed anche confidente del protagonista). Il computer è poi l’esempio principe della contaminazione dei linguaggi. Racchiude in sé la scrittura (la funzione per cui si utilizza soprattutto il PC è quella di scrivere) e la ricchezza estetica degli audiovisivi, non a caso l’interfaccia dei video game è sempre più definita e vicina alla ricchezza visiva del cinema. La scrittura, il suono, l’immagine sono sempre più connotati precisi e richiesti dall’utenza dei personal computer. Non solo. Con il PC si può stabilire con i vari linguaggi un rapporto di interattività. Un testo elettronico lo leggiamo ma, se vogliamo, lo modifichiamo (su internet esiste un romanzo elettronico di Stanislao Nievo, Il sorriso degli Dei, libro "transrealista" in cui i lettori potranno trasformarsi in scrittori inventando sviluppi a sorpresa oppure alterare la sequenza dei capitoli per costruire un percorso narrativo nuovo e aperto). Con una scheda di acquisizione delle immagini "catturiamo" dalla TV o dal VTR e possiamo modificarle a piacere creando così un nostro film (non è certo un caso che le riviste di computer di larga diffusione siano zeppe di pubblicità e articoli sui software di montaggio non lineare), ascoltiamo la radio e possiamo anche rielaborare i suoni. Insomma, con il computer non abbiamo solo la possibilità di accettare o rifiutare come per la scrittura, se non piace si smette di leggere, o come con la TV, se il programma non è di nostro gradimento possiamo cambiare canale o addirittura spegnere l’apparecchio, ma abbiamo il potere di interagire e dunque di modificare i testi, diventando a nostra volta autori a tutti gli effetti di ciò che leggiamo, sentiamo, vediamo, oltre, ovviamente, alla possibilità di creare personalmente un testo originale. Una libertà condizionata esclusivamente dai nostri saperi e dalla nostra fantasia. Ma il computer non è indispensabile per mettere in collegamento linguaggi diversi. Basta entrare in una sala cinematografica e il film ci rimanderà, in infiniti richiami, agli altri media, agli altri linguaggi. Pensiamo a film come Assassini nati di Stone in cui il fumetto e la televisione rapprsentano il punto di riferimento costante della pellicola, oppure se guardiamo oggi Eroe per caso non possiamo fare a meno di ricordarci lo spot della Citroen che ne è una chiara citazione. Dal cinema alla TV e ritorno, passando per il fumetto e la scrittura. A raccontarlo sembra tutto molto bello e semplice. Se effettivamente la multimedialità rappresenta un mondo meraviglioso in una moltiplicazione di messaggi, linguaggi e, ovviamente, espressioni artistiche, non vuol dire che l’approccio a questo mondo sia, almeno apparentemente, altrettanto facile. Noi come Laboratorio di Tecnologie Audiovisive abbiamo realizzato un video sull’argomento, Multimedialità, un videoclip filosofico, consegnato ai componenti del progetto Multilab in occasione del convegno di Stresa. Speravamo di raccogliere delle critiche sul nostro lavoro o, perlomeno, un qualsiasi riscontro, sia in positivo che in negativo. Ciò non è successo. L’ipotesi che si è fatta strada in noi è che abbiamo miseramente fallito realizzando un prodotto criptico o addirittura "brutto" (e non intendo da un punto strettamente formale, gli strumenti a disposizione del Laboratorio all’epoca non consentivano molto di più). Si è pensato quindi di fare una verifica proiettando il video agli studenti del corso del prof. Maragliano, chiedendo poi loro di elaborare un testo scritto che descrivesse l’oggetto in questione. Alla fine della proiezione solo un paio di studenti hanno in qualche modo apprezzato la visione, il resto di loro è rimasto, a dir poco, perplesso. Gli elaborati che sono poi stati consegnati da parte degli studenti sembravano avere una cosa in comune tutti: la confusione che ha suscitato in loro la proiezione. Dunque un fallimento? Forse non è proprio così. La particolarità di questo "esperimento" è che quasi tutti gli elaborati scritti dagli studenti possedevano una struttura sintattica, narratologica con un impianto ironico che non faceva altro che ricalcare la struttura del videoclip. Non solo. Il nucleo centrale del video è l’associazione tra spezzoni di film, televisione, pubblicità, scrittura nel tentativo di trovare una matrice comune che aiutasse a giungere a una definizione della multimedialità. I lavori degli studenti ripercorrono il nostro stesso itinerario costruendo una "mappa" del sapere e delle conoscenze fatta di associazioni e contaminazioni dei moderni linguaggi. In seguito, durante il corso, gli studenti hanno realizzato altri lavori. In particolare un gruppo ha realizzato un breve video di montaggio. Quegli stessi ragazzi che avevano affermato di non capire il nostro videoclip hanno realizzato un video che pur parlando d’altro, è strutturalmente identico al videoclip del Laboratorio. Da una parte l’affermazione di non aver compreso il nostro videoclip, dall’altra la dimostrazione di essere padroni di quel linguaggio e di averlo in qualche modo interiorizzato. A questo punto si può giungere ad alcune conclusioni. Il mondo di oggi non delega più i saperi all’oralità e alla scrittura. Siamo immersi nell’informazione, sia che provenga da giornali e libri, che telegiornali, talk-show, internet o cinema. Questo pluralismo di linguaggi ci ha ormai abituati a saperli leggere tutti, metterli in connessione, attraversarli e immergervisi. Tutto questo però in maniera istintiva, e nel momento in cui dobbiamo operare un’astrazione e ragionarvi sopra entrano in campo i condizionamenti di una cultura storica per la quale il sapere è sempre lineare, acquisito solo attraverso la fatica (cerebrale) e il sacrificio (leopardianamente fisico). Il gioco e la leggerezza intesi come territorio comune in cui tutti possono incontrarsi, avere qualcosa da dire e aggiungere al patrimonio collettivo. Un "luogo" in cui i saperi non ci sovrastino come qualcosa di pesante e minaccioso ed estraneo, di "altro". |