Per
ricordare Mario Lodi: un sogno basco,
di Carlo Ridolfi
La
relazione con il maestro è uno dei punti fermi per una
crescita umana e professionale proficua. Attraverso la narrazione
di un sogno l’autore ricorda Mario Lodi, grande maestro: “Perché
è stato e resterà per sempre un vero albero maestro:
sicuro riferimento in bonaccia e in tempesta, sostegno nelle
rotte per l’educazione e guida per l’oceano della vita”.
Per ricordare Mario Lodi, che ho conosciuto dai suoi libri fin
da ragazzo e poi ho incontrato nei primi anni Novanta, quando
fui invitato a tenere una relazione a un convegno sulla televisione
– organizzato alla Casa delle Arti e del Gioco di Drizzona (l’associazione
fondata da Mario nel 1989) – non mi basterebbero una parola
per ogni lacrima che ho versato quando ho saputo della sua scomparsa.
Mario
Lodi è nato il 17 febbraio 1922 a Piadena, in provincia
di Cremona. È morto il 2 marzo 2014, a 92 anni compiuti
da poco. È stato sepolto nel cimitero di Drizzona il
4 marzo e a qualcuno risuonava nella memoria l’inizio della
canzone capolavoro musicata da Lucio Dalla e scritta da Paola
Pallottino, poetessa e illustratrice per l’infanzia: “Dice che
era un bell’uomo…”. Veniva dalla terra, Mario, ed era un uomo
bello in tutti i sensi. Alto, con gli occhi chiari. Mite, ma
deciso. Sognatore, ma pratico. Come tutti i veri grandi: modesto
e disponibile agli altri.
Ecco
perché, per ricordarlo, preferirei raccontare un sogno
che ho fatto nella notte tra l’uno e il due di marzo. Sulla
sua vita e sui suoi libri, sulla scuola che ha messo in pratica
e teorizzato: prima ha agito in buona pratica e poi l’ha resa
teoria pedagogica applicabilissima. Su un’eredità che
in molti e molte dobbiamo raccogliere. Su tutto ciò non
basta scrivere o parlare: bisogna darne corpo e sostanza, insieme
a forza e azione educativa.
La
notte tra il primo e il due di marzo 2014 dormivo a Guernika
(in Euskadi). Guernika è una piccola città, famosa
in tutto il mondo per il quadro di Pablo Picasso, dipinto dopo
una delle grandi tragedie del Novecento: il bombardamento che
il 27 aprile 1937 la rase quasi al suolo.
Ero
dunque lì, quella notte, dopo giorni in cui era piovuto
molto e le scarpe erano spesso infangate per le passeggiate
nei sentieri dei parchi che stanno lì vicino.
Il
due marzo, domenica, c’era in progetto di andare nel piccolo
paese di Mundaka, al mare.
Il mare oceano. L’oceano Atlantico, dove risuonano nomi leggendari
come mar Cantabrico, golfo di Biscaglia, che un po’ più
in là si chiama golfo di Guascogna e subito appaiono
le memorie e le sembianze di D’Artagnan e dei tre moschettieri.
A
Mundaka si celebra un carnevale assai particolare: l’Aratuste.
La mattina tutti gli uomini, di ogni età, si radunano
vestiti di bianco dalla testa ai piedi e girano per le strade
del paesino saltando e cantando: si chiamano Atorrak.
Il pomeriggio, la sera e la notte sono invece regno delle femmine,
dalle bambine piccolissime alle anziane, che si chiamano Lamiak.
Si vestono di nero, con le facce dipinte in bianco e nero, gli
occhi cerchiati e indossano lunghe parrucche bionde, che sembrano
fili di scopa. Sono le “streghe” di Mundaka, che lanciano urla
acutissime e sono pronte a sfidare qualsiasi mondo venga loro
incontro.
Tra
la pioggia dei giorni precedenti e l’idea dell’Aratuste di Mundaka
che ci aspettava, quella notte sognai…
…
Mario camminava davanti a me. Eravamo in una zona di montagna,
su un sentiero pieno di fango, in mezzo alla nebbia e attraverso
di essa solo per brevissimi tratti s’intravedeva una foresta,
verso la quale ci stavamo dirigendo.
Mario
camminava davanti a me. Con passo lento, ma sicuro. Io faticavo
a tenergli dietro. Ogni tanto faceva qualche piccola deviazione
sul sentiero, si girava e mi diceva: “Passa di qua, che si cammina
meglio”.
La mia fatica era sempre maggiore. Lui sembrava molto più
a suo agio, più leggero, più forte.
Venne il momento, mentre la nebbia sembrava cominciare a diradarsi,
che lo vidi già più lontano.
Provai a chiamarlo. Subito non mi rispose. Poi mi sentì,
si girò e mi disse: “Vado avanti. Devo andare avanti.
Devo riprendere a studiare!”.
Ricominciò a camminare. La nebbia tornò ad avvolgermi.
Non lo vedevo più. Sentivo solo il suono dei suoi passi
che si allontanavano e che si faceva via via sempre più
fioco…
Fu
uno di quei sogni che si fanno poco prima del risveglio e che,
per questo, rimangono forse più impressi nella mente.
Ricordo d’aver pensato: “Sta succedendo qualcosa”.
Qualche
ora dopo, mentre ero davanti alla chiesa di Mundaka, circondato
da persone in festa, da musiche e canti, mi arrivò la
telefonata che mi dava la notizia della definitiva partenza
del maestro.
Ho
pianto. Ma, sono felice di aver potuto attraversare una parte
di cammino al suo fianco. Perché è stato e resterà
per sempre un vero albero maestro: sicuro riferimento in bonaccia
e in tempesta, sostegno nelle rotte per l’educazione e guida
per l’oceano della vita.
* * *
Leggi I pensieri che bambine/i del “Percorso Soave Soave Kids”
(di scuole in ospedale e non) hanno inviato al Maestro Mario
Lodi, in occasione del suo 92° compleanno
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